martedì 4 novembre 2014

La fantastica paranoia di oz


La paranoia è un tarlo che ti consuma il cervello.
La paranoia in alcune persone può essere così forte da sostituire la realtà.
Ti immergi così tanto in quel tuo mondo mentale da crederci per davvero, cosicchè la realtà, le sensazioni ed emozioni ad essa connessa ne risentano. Vengano distorte. E diventano sempre più simili a quelle che vivi dall'altra parte, in quell'oscurità che piano piano comincia ad avvolgerti.
La paranoia è il vuoto negli occhi e la mente dietro di essi risucchiata in un buio tunnel.
È la mia personale bestia nera.
La paranoia mi paralizza da questa parte, perchè sono troppo concentrata a muovermi in essa da poter usare anche solo un brandello della mia mente per trovare una soluzione alla situazione che mi preoccupa.
E muoversi lì è faticoso.
Sono sul mio personale sentiero di mattoni che non sono dorati, ma sono di pece. La camminata è pesante, ad ogni passo la suola delle scarpe rimane attaccata ai mattonie faccio uno sforzo per staccarla, ma non posso lasciarlo, quindi continuo.
Incontro dei personaggi lungo il mio cammino. Felini fifoni, di quelli che tremano al solo pensiero di qualcuno più forte di loro eppure non hanno paura ad approfittarsi dei più deboli. Uomini di latta, lucidi fuori, da potercisi specchiare, abbaglianti ma se guardi bene dentro, sono vuoti. E  spaventapasseri, che non sono interessati ad un cervello e per questo spaventano me.
Mi dicono che vogliono accompagnarmi durante il viaggio, aiutarmi. Ci saremo noi a coprirti le spalle. Ma in realtà stanno solo cercando di raggiungere i loro scopi, che non sono cuori o cervelli o coraggio. E quando li avranno raggiunti, spariranno, così come sono apparsi, lasciandoti ancora più sola e pesante a continuare il tuo cammino.
Arriverò alla fine del sentiero, difronte a me si staglierà un monumentale palazzo d'ebano, uno squarcio nel nero, farò un respiro e busserò. La porta si aprirà e a guardarmi ci saranno volti arcigni, con atteggiamenti di superiorità  e voci altolocate, sorrisi di scherno. Ed io comincerò a chiedermi perchè sono arrivata fino a lì. Mi accompagneranno in un'enorme stanza dove ci sarà qualcuno ad aspettarmi, ma non lo vedrò. Di nuovo sola, questa volta circondata dal niente.
 Una voce tuonerà su di me spaventandomi, rimpicciolendomi. Mi sentirò restringere fino a raggiungere le dimensioni di un punto, così mi sentirò a confronto di tale imponenza.
E cercherà di affondarmi ,di sgretolare la mia autostima e la mia persona e mi ricomporrà per quello che vorrebbe che io sia. Insicura, persa, sbattuta nel fiume della vita. Lui calmo e solido a vedermi annaspare.
Ma se potessi pungerlo, scoprirei che sotto tutte quelle arie c'è solo un piccolo uomo, un impostore che intimorisce con modi pomposi e l'atteggiamento di chi sa tutto, pur non sapendo niente.
Qualcuno che vuole sbarazzarsi di me perchè non sa tenermi testa e sa che io non lo so.

Ma tutto questo, succede solo nella mia  testa.

lunedì 15 settembre 2014

Grigio a colori


Mi guardo e ciò che vedo è un fallimento.
Mi guardano e ciò che vedono è diametralmente opposto. Come in una casa degli specchi che ti rimanda un'immagine distorta.
Sono 26 anni che mi ripetono "Sei geniale, brillante, intelligente" e chi più ne ha più ne metta.
Allora mi domando e dico, perché se sono così brillante, intorno a me c'è solo buio?
Perché non vedo la mia strada?
Perché non vedo la realtà che mi circonda.
Perché l'inerzia mi culla e il nulla mi avvolge.
Nebbia, in cui il tempo mollemente scorre.
Inutilmente, infruttuosamente.
Mi vedo in un punto preciso sul piano spazio temporale, coordinate che non voglio avere, una posizione che non mi piace eppure essendo ferma posso vedere solo quel fotogramma. Un fotogramma che mi ha immortalato in un'espressione ridicola.
Dovrei essere pratica, lo so, concreta. Dovrei forse decidermi a lavorare in una banca. 
Appiattarmi.
Ma io amo le parole, quell'intrico complesso di lettere che vengono fuori così semplicemente. 
Ma le parole non sono tangibili e nella vita, mi hanno detto, non si vive di passione, ma di razionalità.
Che paradosso, ho sempre pensato che essere passionali significasse essere vivi, ed ho invece imparato a malincuore che essere passionali, ti ammazza piano piano.
Ogni volta che la realtà delude le mie aspettative, una parte di me appassisce e si appiattisce. Ogni volta che un sogno muore, una parte di me si spegne.
A 26 anni ho realizzato che essere a colori, è una debolezza, se vuoi sopravvivere, è meglio essere grigi e accontentarsi di quello che c'è.
C'è un solo problema.
Io non posso perdere colore, anche se cercassi di lavarlo via, non ne sarei capace.
Allora Wake up.

domenica 14 settembre 2014

Notti insonni


Le notti insonni sono calde e fredde, brividi lungo le gambe e sudore dietro la nuca.
Una testa bollente e un cuore arrabbiato, di quella rabbia che ti nausea.
Sono denti stretti e mal di testa. Chiodi nelle tempie di un Frankenstein moderno.
Sono una lotta contro il buio e contro il letto. Il buio è troppo buio, la luce è troppo luminosa. Il cuscino una pietra conficcata nella testa.
Sono tutte un destra e sinistra, destra e sinistra, intervallati da un soffitto.
Sono un flusso di pensieri che non si placa e ti trascina via, come un fiume in piena. E tu sei troppo stanco per cercare di tenerti a galla, troppo stanco, eppure troppo sveglio per potervi annegare dentro.
Le notti insonni sono  fughe inutili, corse interminabili, scappi da nemici di cui non vedi il volto. Sono false speranza di salvezza, porte in cui nasconderti, ma quando le apri ti scoprono, e la speranza sfuma nella disperazione di sapere di dover continuare a correre e non sapere fino a quando.
Le notti insonni sono notti non sicure.

martedì 2 settembre 2014

Essere pigri, ti salva la vita.



Ieri notte, ero a letto con il mio ragazzo. Lui era semi-cosciente, se chiamavo il suo nome, mi rispondeva, ma era solo un pallido riflesso della sua coscienza. Era come se stringesse la mano a Morfeo, prima di abbracciarlo.
Io accanto a lui, ad occhi spalancati mi guardavo attorno, ma di Morfeo, per me, nessuna traccia.
Da fuori il rumore dell'acqua che scendeva da una grondaia, che era sempre stato lì, in quel momento era insostenibile, tagliente. Squarciava lo spazio che ci divideva per piantarsi nella mia testa come la spada di Artù, conficcata nella roccia. La tenda, annodata al centro, lasciava entrare la luce esterna. 
Pensavo che forse, se solo avessi chiuso quella finestra, e avessi tirato la tenda, sarei riuscita finalmente ad addormentarmi.
Ma, sapete, sono una persona pigra, il tepore del mio letto era troppo accogliente e restai a contemplare quella finestra, distratta, per un po', trascinata dal corso dei miei pensieri.

Mi sono vista, così come ci si vede fare qualcosa in un ricordo, scostare le coperte, scendere dal letto senza infilare le pantofole e dirigermi alla finestra. Era una di quelle finestre che si apre spingendola verso l'esterno, e come al solito era aperta di modo che fosse troppo distante, il mio braccio non riusciva a raggiungere la maniglia. Di solito appoggiavo il ginocchio sul davanzale della finestra, mi issavo su, mi aggrappavo alla maniglia e contemporaneamente scendevo dal davanzale, tirandomi appresso la finestra.
Una scena alquanto divertente da vedere, secondo il mio ragazzo.
Non dal mio punto di vista, o almeno non mentre mi arrampicavo con l'agilità di una scimmia con l'artrite.
Quella volta, anche se lui non mi stava guardando, avevo deciso di saltare direttamente, afferrare la maniglia e la forza di gravità avrebbe fatto il resto, trascinandomi sul pavimento. Si, non avevo bisogno di scalare la finestra quella volta, bastava saltare.
E così feci.
Saltai, afferrai la maniglia e la forza di gravità, svolse il suo ruolo. Cercò di attirarmi verso il suolo.
Ma dal lato sbagliato della finestra.
Andavo verso il fuori.
Tutto si svolgeva diversamente da quanto avevo progettato nella mia mente poco prima, tutto per un semplice, minuscolo dettaglio. Comportarsi come se delle eventualità non esistano, non fa si che queste scompaiano. A quanto pare ignorare le leggi della fisica, poteva essere pericoloso.
Cercai di buttare la schiena all'indietro alla ricerca di un disperato equilibro, se fossi scivolata in avanti, la finestra si sarebbe spalancata ed io mi sarei ritrovata col corpo completamente immerso nell'aria, e la probabilità che riuscissi a rimanere appesa alla maniglia erano davvero esigue. Mai ignorare la fisica, avevo appena imparato.
Daniele.
Mi ricordai di lui.
Daniele era in camera, in uno stato che oramai era comatoso, potevo affermarlo, dal semplice fatto che non si accorgeva che la sua fidanzata sporgeva dalla finestra come un panno steso ad asciugare
- Daniele!
Vidi Daniele alzarsi di scatto.
Nel buio vidi il brillio delle sue orbite spalancate.
Voltandomi avevo perso l'equilibrio e il corpo cominciò a scivolare, ancora una volta dal lato sbagliato.
Vidi Daniele lanciarsi dal letto.
Vidi il suo braccio protendersi ad afferrare la mia caviglia.
Vidi il vuoto tra le sue mani.

La finestra era ancora lì, alzai lo sguardo al soffitto, che era sempre lo stesso.
Mi riscoprii, ancora, completamente lucida, nel tepore delle coperte che mi avvolgevano.
Guardai di nuovo la finestra, ed anche quella volta, era ancora lì, aperta di modo che fosse troppo distante.

Certo che, essere pigri, ti salva la vita

lunedì 1 settembre 2014

Attese telefoniche



Odio i messaggi di attesa che ti propinano mentre attendi al  telefono. Quelli del "Siamo spiacenti ma al momento le nostre linee sono occupate. Un nostro operatore si libererà al più presto. Attenda in linea!".
Quel "al più presto" è quantificabile in un'attesa che varia dai 7 ai 15 minuti. Una volta, credo addirittura di essere riuscita a sfiorare i 20. 

Quest'attesa è catalogabile in 3 fasi:

Fase snervante: l'orecchio è letteralmente incollato al cellulare, non troverai un minimo varco tra i due, tanto da arrivare a pensare che si tratti di un unico organo. L'udito è teso, ad afferrare ogni minimo rumore che sia diverso dalla musichetta di merda che stai ascoltando già da 5 minuti, e sai che, se la ascolterai per un secondo ancora, ti farà impazzire. L'occhio che inizia a pulsare a tempo con la lancetta dell'orologio che scandisce i secondi.
Fase apocalittica: "Che le piaghe d'Egitto si abbattano su di voi!" "Che il Karma vi perseguiti fino al momento del vostro ultimo respiro" "Che ogni porta sia chiusa quando starete per cagarvi sotto!" Grida, degne dei peggiori campi di battaglia, saranno intervallate a silenzi assoluti, di controllo. Ma l'unica cosa che sentirai sarà il messaggio registrato e la musichetta di merda. "Ho deciso, spacco tutto ora". La pazzia ti sta ammaliando.
Fase rinunciataria: sei spossato oramai, la lunga attesa, gli accessi di rabbia, ti hanno indebolito lo spirito. Si allontana il telefono, si ritorna a fare ciò che si stava facendo, si lascia in vivavoce per riflesso incondizionato, pur sapendo, in cuor tuo, che nessuno risponderà mai a quella chiamata. 
E te ne dimentichi. 
"Chi stavo chiamando? E perchè?"
Cadi nell'oblio.

- Pronto!

Una voce.
Da dove viene?

- Pronto mi sente?

Alla mia destra. 
Mi volto c'è il cellulare.
Qualcuno mi ha risposto...

- Pronto..
- Salve sono Elena, codice 4rfz6, come posso aiutarla?
- Salve sono Ilaria, io non ho un codice... Io vengo da un mondo lontano... un tempo in cui gli essere umani creavano nuove vite, dando loro nomi veri. Quando le fredde macchine non si erano ancora impossessate dell'unica cosa che prova che siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio, affibbiando, a questi mezzi uomini, codici di serie."
- Mi scusi non la seguo. Posso aiutarla??
- C'è solo una cosa, a questo punto, che puoi fare per me...
- Allora?
- Dimmi... in che anno siamo?

domenica 31 agosto 2014

Mietitrici di capelli




Tutte, almeno una volta nella vita, si sono ritrovate ad incontrare sul proprio cammino un personaggio da me definito mietitrice di capelli. 
A me, che non mi faccio mancare mai nulla, è capitata anche la variante maschile, il mietitore.

Chi sono le mietitrici?
Sono quelle parrucchiere che decimano in un secondo tutti i tuoi capelli. Mesi, anni di pazienza e devozione, eliminati senza pietà. Sono quelle che non differiscono tanto da un boia, il risultato finale sarà sempre un taglio netto. E per giunta sono scaltre, tagliano più volte, di modo che quando tu chiederai "Ma quanto hai tagliato?" loro ti risponderanno col sorriso di chi si aspettava già quella mossa "Solo le punte, guarda il pavimento" e tu vedrai effettivamente solo punte, migliaia, ma pur sempre solo punte. E non potrai controbattere nulla, anche perché in quel momento non si sa come, tutti, persino tua sorella, tua madre, la tua migliore amica, non vedranno quello che tu vedi in quello specchio, ma daranno ragione alla parrucchiera dicendo che in realtà non ti ha cambiato assolutamente la lunghezza dei capelli. E tu impotente non potrai dire e fare nulla, se non pagare il conto con l'animo pesante. L'ultima immagine impressa nella mente, sarà lei che prende i soldi e ti sussurra "Scacco matto", così la ricordi. Continuerai ad odiarla anche mesi dopo, quando ti ritroverai a guardare una foto precedente a quel triste incontro e di riflesso allungherai la meno verso il punto in cui una volta avevi dei capelli, ma stringerai solo il vuoto.

Io in vita mia ne ho incontrato tanti. 
Il primo fu quello che rovinò la mia vita sociale alle medie, regalandomi un capello corto e scalato che ora che ci penso è uguale a quello che mia mamma porta attualmente, tutto questo me lo sono meritato per aver chiesto "Un taglio particolare" e quindi lui ha deciso di accontentarti regalandomi una parrucca vintage.
 Il secondo l'ho ricevuto a metà delle scuole superiori, una perla di architettura moderna interpretata dal mio allora parrucchiere, che mi ha costretto ad andare in giro per mesi portando sempre cappelli. 
Una volta ho cercato di rasarmi un lato della testa, ma la mietitrice con le sue doti ammaliatrici riuscì a farmi cambiare idea, accarezzandomi la mente con l'idea dell'ultimo taglio, mai visto prima, "Qualcosa che avrai solo tu"... Sono uscita da lì dentro con un doppio taglio spaventoso, letteralmente, sembrava che portassi una scodella in testa, da cui fuoriuscivano quasi spaventati, pochi superstiti capelli. Penso che quel giorno si sentisse annoiata e cercasse qualcuno da prendere per il culo, così da farsi due ristate.
Potrei continuare per ore, parlandovi di tagli asimmetrici, non dettati da una fantasia futuristica, quanto piuttosto da un uso incosciente delle forbici, e potrei inoltre aprire un intero capitolo sulla famosa frase "Tagliami solo le punte", che ti riduce sempre ad un caschetto ambulante. 
A riguardo, credo che si dovrebbe trovare un'unità di misura che definisca la parola "punte", credo che sia quello il problema. Per la cliente, "punte" significa un dito e mezzo, al massimo 2, voglio esagerare, la parte finale dei capelli insomma, lo dice la parola stessa, punte. 
Per le parrucchiere assume un significato profondamente personale, una cosa quasi mistica. "Eliminerò il male da questi capelli! Lo estirperò alla radice!" ecco quello che pensano quando tu dici "Ho le punte rovinate, me le tagli?"

Questo è un appello che faccio a chi, come me, ha incontrato una mietitrice di capelli. 
Non preoccupatevi se le persone intorno a voi vi puntano il dito contro accusandovi di pazzia, mania di persecuzione, visioni di cose non esistenti. 
Non abbattetevi se anche voi avete provato quella sensazione di smarrimento, quando con un sorriso vi siete voltate verso lo specchio e con calde lacrime ve ne siete allontanate.
Non sentitevi sole.
A questo mondo c'è qualcuno che vi capisce.

lunedì 18 agosto 2014

Non rispondere




Non so se vi è mai capitato di non farvi sentire con alcune persone oppure di non rispondere ai loro tentativi di mettersi in contatto con voi. Il fatto è che quelle persone ti fanno delle domande, che non sono "Sei sveglia?" "Cosa mangi oggi?" "Hai fatto la cacca?" No, loro ti fanno quel tipo di domande a cui tu non hai una risposta. Anche quando non ti chiedano nulla, è come se quella domanda aleggiasse comunque nell'aria, è implicita in ogni cosa che ti dicono.
E tu non rispondi.
Ti arriva un loro messaggio e parte la canzone che accompagna le apparizioni dello squalo nel famoso omonimo film. Ogni volta all'accendersi della loro voce è come se un riflettore si accendesse su di voi. Come se vi trovaste su un palcoscenico, al buio, difronte a voi una sala completamente vuota, eccetto per quell'unico posto in prima fila, in cui intravedi una sagoma, ma non distingui la persona, poichè la luce ti acceca.
E lì nel cerchio di luce ci sei tu.
Ti senti come se ti avessero chiesto di recitare una parte che non hai studiato, perchè non ti andava, non la sentivi tua. E quindi incespichi, dalla bocca escono parole che suonano stupide alle tue stesse orecchie. E lo sai, che in quel momento ti stai mostrando nel bel mezzo del fallimento.
Il fatto è che evito quelle persone perchè non so come rispondere alle loro domande.
Mentre quando sono solo io, su quel palcoscenico male illuminato, so perfettamente cosa dire, perchè nessuno sta leggendo il copione che ha scelto per me.
Eppure si tratta comunque solo di prove, la luce sempre spenta, nessun pubblico e il tutto si svolge per improvvisazione, non c'è una trama.
E in realtà, diciamocela tutta.
Sono anni che provo da sola eppure non sono ancora in grado di rispondere, nemmeno alle mie domande.

sabato 19 luglio 2014

Confessioni
























Limiti.
Ho letto di un gabbiano che ha superato i propri limiti.
E l'ho ammirato. Ho cercato di immedesimarmi in quel gabbiano. Ma l'unica cosa che posso fare è invidiarlo.
Mentre lui se ne stava nel cielo, rischiando la vita pur di rendersi migliore, io me ne stavo nella  distesa piatta della sicurezza, e della mediocrità.
Mediocre un po' meno degli altri.
Nella mia vita i miei limiti  li ho sempre guardati da lontano, li ho intravisti appena, sbiaditi, non ho mai osato avvicinarmi. Mi sono tenuta a debita distanza, pascolando.
E non importa che non credano in me, che mi critichino, che predichino i miei fallimenti, che mi spingano fuori, verso l'esterno, verso il recinto, che mi diano un'opportunità.
Non retrocedo. ma neppure avanzo. Resto nel mezzo.
La verità è che nella mia vita ho rinunciato sempre, quando si avvicinava il momento della rincorsa. Quella reale,  quella sudata, quella che non ti da nulla fino alla fine, se non sudore, nervi a fior di pelle e tensione.
E adrenalina.
Ma quella non la provo mai.
La verità è che ho paura di schiantarmi contro il recinto nella rincorsa.

giovedì 3 luglio 2014

Memorie



Non ho davvero voglia di dormire questa notte. Sono ebbra di ricordi e da sola non riesco a smaltirli.
Il fatto è che noi ci dimentichiamo del passato.
Quando ti soffermi a ricordare, la tua mente riesce ad arrivare ad un anno fa, forse due con un po' di impegno. Ma quando incontri qualcuno che ha vissuto con te, che ti ha vista come era e come sei, che è cresciuto con te, ed intendo che è andato oltre, che si è lasciato quella vita alle spalle per cominciarne una nuova, quella persona ti aiuta a ricordare.
E più parli più rievochi memorie, le parole incalzano e i ricordi arrivano alla mente finalmente, come quelle parole che hai sulla punta della lingua ma proprio non riesci a dire.
E non fai in tempo a finire di raccontarne uno, che l'altro è già lì pronto. E sembrano non dover finire mai.
I ricordi sono belli perché diversi dal presente, sono belli perché il passato ovunque esso sia, è più spensierato del presente. E quando mi guardo indietro, quando sono con chi è stato mio socio di vita, non vedo delusioni, non vedo rimorsi, non vedo tristezza, vedo solo risate, vedo leggerezza, vedo follia e persino quelli che mi sono sembrati momenti bui, ora che li vedo da lontano, non sembrano così bui, non fanno più paura, anzi, mi fanno quasi sorridere, mi fa tenerezza ricordare le pene di quella vecchia me.
E ora capisco perché non mi pesa il presente con i suoi nuovi impegni e preoccupazioni.
Perché quando mi guardo indietro mi viene solo da sorridere.
Perché questa è un'altra storia.
E un giorno parlerò anche di questa, sorridendo.

mercoledì 2 luglio 2014

Ansia divora



E come ad ogni partenza, non riesco a scrollarmi quest'ansia da dosso. L'ansia di dimenticare e lasciare qui qualcosa di importante e contemporaneamente quella di perdere il volo e non poter tornare indietro. Eppure non riesco a spiegarmi cosa sia, questa sensazione opprimente di caldo che mi trapassa il corpo, mi fa bollire la testa e mi preme sulle tempie; che mi fa sudare copiosamente, che sia caldo o freddo non importa, non è la temperatura, il fuoco è interno.
Perché?
Lascio di nuovo la mia famiglia, i miei amici, il sole. I sentimenti che provo sono così contrastanti da disorientarmi. Cosa provo realmente? Malinconia o rabbia? Voglia di restare o di scappare? Perdono verso questa terra o rancore? Non lo so, forse li provo davvero tutti.
E sono in ansia.
Ogni volta che ritorno o che riparto ho paura che le persone a me care si siano dimenticate di me o lo faranno ed ogni volta mi sorprende il modo naturale con cui le nostre vite, così lontane nel tempo e nello spazio, si riallacciano e si connettono senza problemi, come se l'ultima volta che ci siamo visti fosse stata il giorno prima.
Il tempo e la distanza che si annullano all'istante.
Eppure non è così.
Perché la vita qui va avanti, e lo farà senza di me. E lo stesso succederà a me.
Forse, ho solo paura del cambiamento.
Non ho problemi a percorrere nuove strade, ma il primo passo, il primo passo è quello che mi provoca lo sforzo maggiore, quello per cui le mie gambe diventano macigni, e spostare quella gamba è pesante.
L'ansia mi divora.
E sudo.

sabato 28 giugno 2014

Pensieri




Non avere più bisogno di nulla se non della sua voce che mi culla dolcemente al buio e del calore delle sue mani che accarezzano ogni centimetro del mio corpo, ogni volta come se fosse la prima volta, come se avesse bisogno di riscoprirmi di nuovo, nonostante quelle stesse mani abbiano percorso e ripercorso centinaia, migliaia, milioni di volte il medesimo cammino.
Quel momento solo nostro, in cui esistiamo solo noi. Quando siamo solo occhi, cuore e pelle.
Paura, ansia, preoccupazioni spazzate via, annullate, non dalle parole, ma dai suoi occhi, occhi che parlano. Discorsi muti eppure mai stati così eloquenti.
Non lo so se le nostre vite sono intrecciate o destinate a toccarsi per poi separarsi, ma se anche così fosse, non mi interessa. Fino a quel momento, vorrei che mi tenesse in quel vuoto tra le sue braccia che così naturalmente riesco a riempire perfettamente.
Per adesso è tutto ciò che conta.

venerdì 27 giugno 2014

Insicurezza



L'insicurezza è quella palla che si materializza alla fine dello stomaco e che ti tiene incollata a terra, corpo e mente.
L'insicurezza ti confonde, cerchi di fare un passo in una direzione, ma non sai se andare avanti o tornare indietro. Sei incollata in quel punto e ti guardi smarrita attorno, alla ricerca di un segnale, di una persona che ti indichi la via, ma non c'è nessuno, solo tu e quel peso opprimente, che ti fa andare più forte il respiro, ti fa battere di più il cuore mentre tu sei ferma, immobile, eppure sudata e affannata come se stessi correndo.
L'insicurezza mi rende cieca, non vedo dietro di me, non vedo davanti a me. Solo buio.
L'insicurezza mi avvelena lentamente, un veleno centellinato come se fosse un vino pregiato, mi intorpidisce la mente e mi ammazza senza fretta.

Una singola parola, così come un battito d'ali di una farfalla che scatena un tornado dentro la parte più profonda di me.

martedì 3 giugno 2014

Demoni


Ognuno ha i suoi demoni personali. I demoni di una persona sono le sue debolezze. Così mi è stato detto  ieri notte.
Ed ogni problema che si ripropone non è altro che una nuova sfida contro i propri demoni. E quando perdi, tu non perdi, semplicemente sei loro complice. Li lasci vincere.
Sono anni che convivo con i miei demoni, che danzo con loro e che ne divento complice. Disparati problemi ma pochi semplice demoni che non escono dalla mia vita e dalla mia mente. Che mi costringono ad occhi spalancati e notti insonni. A viti che si stringono nelle tempie e schiacciano. E sono stanca di continuare a tacere e perdere le parole difronte ai soprusi. Aprire la bocca per farne uscire aria. E sono stanca dell'impulsività che mi sbatte da un lato all'altro della linea della ragione e del torto. Del rosso che mi riempie la testa e fa uscire fuori parole sconnesse, idee spezzate.
E i miei demoni mi accompagnano, uno da un lato e uno dall'altro, mi tengono per mano come se fossero i miei genitori, si prendono cura di me e non mi lasciano andare da sola. Perchè con loro sono ancora bambina, a prescindere dall'età.
Loro mi tengono, ma io non lascio andare le loro mani.
I miei demoni sono io.

sabato 17 maggio 2014



Com'è bella la luna stasera. Non è perfetta. Il lato superiore pende. Ma è enorme. E luminosa. E di uno strano giallo. Le ombre disegnano il volto di una donna che canta al cielo. Ma il suo canto è coperto dai rumori maleducati della città. Grida, sirene, macchine che coprono il suo canto. Il silenzio.
L'aria è fresca, quasi fredda. Ma sono all'aria aperta. E questo mi piace. Sono sempre circondata da mura, non sento più l'aria \sulla pelle. Fino ad ora solo vento freddo.
E sono da sola, immersa nella luce notturna. E mi sento a mio agio.
E provo quella strana sensazione che ho già vissuto. È familiare.  Una specie di piccolo brivido che parte dall'esterno, dalla pelle, per terminare alla base della spina dorsale. E proviene da tutti i lati della tua pelle. E arriva fin nel profondo.
E ti svegli.
Per un attimo.
Diventi cosciente che ci sei.
Tu esisti.
Ed è una sensazione dolce amara. Come se fosse così intenso e così sensato e sicuro, da provare una sorta di malinconia, per quanto sia inafferrabile.

E sorridi.

domenica 6 aprile 2014

Fiducia



Perchè la fiducia è come un bagaglio. Le tue esperienze lo arricchiscono o lo svuotano. La vita ti porta ad incontrare persone e a vivere esperienze che ti danno oppure ti tolgono.
Altre, invece, ti depredano.
Queste ultime compromettono irrimediabilmente la tua idea di fiducia, la percezione di quanto puoi chiudere gli occhi e affidarti a chi ti sta difronte. Lacerano quel bagaglio.
Allora ti rendi conto che per quanto provi a riempirlo, e per quanto tu voglia, non ci riesci, perchè c'è quello strappo, a volte più di uno, da qualche parte, che fa cadere irrimediabilmente tutto.
A volte la percepisci per un po', la avverti, quasi pensi di poterla trattenere, ti illudi per un po'.
Ma poi precipita, attirata da quei buchi neri.
E allora, alle parole,tu sorridi, annuisci e fai finta di credere, eppure ti resta quel peso opprimente sul petto, quel senso di amarezza dentro.
L'amarezza di chi vorrebbe fidarsi eppure non ci riesce, perchè sa che alla fine, è sempre la stessa storia che si ripete.
Chi cerca di ricucire quegli strappi, finisce sempre per allargarli o per crearne di nuovi.

Lasciarsi andare



Un meccanismo inceppato. Una persona rotta. Un cuore che non sa più come funzionare. Una mente che cerca di difenderti. La compassione per sé stessi.

Quando niente ti scalfisce e poi tutto cambia.

Quel momento in cui lo senti che ti stai mettendo in una situazione difficile, ma non riesci a farne a meno. Come una falena con la luce.
Quando senti che stai bene, eppure avresti voluto che non fosse mai successo, per mantenere quel briciolo di pace interiore che con tanto sforzo hai cercato di costruire.
Quel momento in cui logica e sensazioni sono in conflitto.
Il freddo cervello che ti pone un freno, il caldo cuore che ti da la spinta.
Quando una carezza entra in contraddizione con un pensiero, quando un caldo tocco entra in contraddizione con un freno mentale.
Perchè non ti puoi lasciare andare, non del tutto.
Perchè se molli l'appiglio della logica, cadi. Un burrone nero, profondo, non ne vedi la fine e resti aggrappato con le dite. Ti sforzi. Non vuoi cadere. Lo sai che qualsiasi cosa ci troverai, l'impatto sarà forte.
E tu sei lì, penzolante nel vuoto, attaccato a quell'appiglio di ragione, i piedi nel vuoto e non sei pronto per lasciarti andare, ma sei stanco di reggerti.


martedì 1 aprile 2014

Relazioni speculari



È che le relazioni umane sono troppo complicate. E non esistono manuali o regole di comportamento che tengano, nessuno riuscirà mai a districarsi da questo intrico di emozioni, impulsi, nervi e immaginazione, aspettativa e fissazione. Perchè non importa chi sono le parti in causa. Le relazioni umane fanno male quando non sono paritarie. Quando ti avvicini troppo o troppo poco.Ti fidi troppo o troppo poco. Ti fai male o fai male.
Sono relazioni speculari. Due situazioni che esistono insieme: un lato forte, uno fragile; un lato carnefice, uno vittima.
Volere e ricevere, senza dare.
Dare senza ricevere e volere.
Ma che tu sia da un lato o dall'altro, fanno comunque male.
Due dolori diversi ma egualmente intensi.
Da un lato il senso di colpa, per il male che provochi, per il tuo egoismo. Il fatto di non poter fare nulla per smettere di provocarlo.
Dall'altro quello di sentirsi abbandonato, perso, come un pallone lasciato all'improvviso, trasportato dal vento. Dove stai andando?
E un po' per il bisogno di tamponare la propria coscienza, un po' per cercare di tamponare quel dolore non tuo, continui a trattenerlo. Ma non è giusto continuare a riafferrare quel pallone, a saltare. Alla fine non sono nemmeno salti, allunghi solo il braccio. Ma ogni volta sai che lo lascerai, lo mollerai perchè vuoi usare entrambi le mani ed ogni volta quel pallone subirà il distacco. L'abbandono.
Quando non si può dare qualcosa a qualcuno, cosa si fa? Si finge o la si fa soffrire.
Ma cosa è meglio, essere feriti o essere ingannati?
Soffrire per un po' o illudersi per sempre?
Fa più male essere chiodo o essere martello?

Comunque sia entrambi accusano il colpo, in maniera diversa, ma lo scontro avviene per entrambi.

sabato 22 marzo 2014

"Non ricordo di cosa stavamo parlando."






Il sole illumina la cucina,  ti riscalda pigramente, tu dai le spalle alla finestra. Parole svogliate aleggiano nell'aria. Una di queste attira l'attenzione, focalizza l'interesse dei presenti. Non riguarda nessuno ma è un catalizzatore. Le parole diventano incalzanti, appassionate, si susseguono una dietro l'altra. Poi ti fermi. E nel momento esatto in cui smetti di parlare, la conversazione termine. No, è meglio dire che viene troncata. Non c'è una risposta, non c'è un pensiero successivo.
Silenzio.
La mente è risucchiata in qualcos'altro. Le parole hanno smosso qualche pensiero recondito. E la mente è stata portata lì di forza.
È un viaggio.
Non vale la normale concezione del tempo, di collocazione nel tempo. Passato, presente e futuro si mescolano. Reale e immaginario si confondono. Frasi dette. Fatti mai avvenuti. Desideri covati. Ciò che è stato, ciò che è, ciò che poteva essere, ciò che potrebbe essere. Persone del presente che ti rimandano a quelle che hai incontrato. E tutto è nitido e avvolgente. 
E tu sei completamente lì.
Ma tu sei seduto ancora al tavolo, in cucina, con il sole che ti riscalda pigramente la schiena.
Alzi gli occhi e incontri lo sguardo di chi ti sta davanti. E capisci che anche lui è appena tornato dal suo viaggio.

"Non ricordo di cosa stavamo parlando"

venerdì 21 marzo 2014

Dr. Jakyll e Mr. Hyde




Occhi spalancati. La stanza vuota e la mente troppo affollata per dormire.
Quando la notte porta consiglio, neanche uno sbadiglio e questo non è lo spiraglio che ti fa sentire meglio, come canta Meg.
Perchè quando di notte pensi, nel buio del tuo rifugio, nascosto da tutto e da tutti, tu ti analizzi. Analizzi la persona che sei, quello che hai fatto, cosa ti sta succedendo, come lo stai vivendo, come hai intenzione di affrontarlo. È in quel buio che vivi le guerre peggiori. Quelle che combatti con te stesso. Non esiste nemico peggiore. Non esiste persona più crudele e cruda. E non puoi negare quando ti trovi faccia a faccia con te stesso. Non puoi difenderti da te stesso. Non puoi motivare. Non puoi mentire. 
Quasi non puoi vincere. 
Ma se perdi contro te stesso, cosa ti resta da fare? 
Puoi accettare la sconfitta, crogiolarti quasi in essa. Lasciarti andare, nel disprezzo verso te stesso. È come un fiume di inchiostro nero. Ti macchia delle tue colpe e ti paralizza.

Come si esce da questo nero? Non esistono via di fuga, oppure non le vedi?
Niente panico, più ti agiti, più affondi.
Questo è un eterno scontro, tra Dr Jakyll e Mr. Hyde. Giusto contro sbagliato. Ragione contro istinto.
Il problema è che entrambi sono te.
Fai un respiro profondo, tappati le orecchie con la musica, la notte non è il momento giusto per discutere di queste cose. È troppo buio.

La notte non sempre porta consiglio, a volte porta solo quesiti. 
Mi consolo pensando che a volte è meglio una domanda interessante, che una risposta insoddisfacente.

Comportamenti sbagliati, abitudini e insoddisfazione



























A volte succede che quando qualcuno raggiunge un obiettivo, un traguardo, tu senta un pizzicore dietro il
collo, non è invidia è più un senso di delusione verso sé stessi.
A volte nella vita si confondono i traguardi altrui per quelli propri, e spendi forze ed energie a raggiungerli, ci soffri quando non ci riesci. E poi ti accorgi che non è così, che non è tuo, che non lo senti, che nonostante tutto non ti soddisfa.
Ci sono quelli che conoscono il proprio scopo ma sono ancora lì fermi all'imbocco, a guardare la strada da fare e chi invece ne è ancora alla ricerca, quelli che sono ancora in mezzo all'incrocio a guardarsi intorno confusi. Entrambi soffrono di quel pizzicore ed entrambi hanno lo stesso comportamento sbagliato.
La pigrizia mentale.
La pigrizia mentale ti trascina a fare le stesse cose per abitudine. Le stesse storie, le stesse paranoie, le stesse parole. Un circolo vizioso, solo perchè il tuo cervello rifugge le questioni pratiche, gli sforzi, la paura. E resti dove sei. Non perchè è quello che vuoi, ma perchè è la cosa più facile da fare. Ed aspetti, aspetti.
Ma cosa? Che le cose cambino da sé?
In realtà aspetti una sorta di veleno che si espande lentamente. Più il tempo passa e più agisce e più non sei capace di muoverti. E quindi finisci per accettare passivamente quell'abitudine scorretta, che invece ti ammazza adagio.
E questa morte lenta è l'insoddisfazione.

Credo che l'insoddisfazione sia non riuscire a collocarti nel disordine naturale della tua vita e non fare nulla per cambiarlo.

mercoledì 5 marzo 2014

Percezione di sé







Le ferite sono come le carie. La mente va a stuzzicarle come fa la lingua con il dente, tastando, verificando se faccia male, appurando quello che in realtà già sa. E più ci gioca e più il dolore resta a lungo. E ci sono quelle persone che hanno paura di risolvere il problema. Paura di scoprire quanto grave sia là sotto e paura che faccia troppo male. Allora tastano ripetutamente, giocano in continuazione. In realtà è che cominciano ad affezionarsi a quel dolore. A quella piccola fitta. Diventa una sorta di compagnia, un passatempo macabro per riempire gli spazi vuoti.
Ed è quello il punto. Riempire quel vuoto.
Con sé stessi.

martedì 25 febbraio 2014

Arte e sensazioni



Tempo fa, sono andata ad un museo qui a Londra e mi sono ritrovata a girovagare affascinata tra dipinti mai visti prima ed altri che avevo visto solo in foto. Ritratti di donne nude, così come viste da Picasso, viaggi mentali di Dalì, classiche pose da odalische interpretate da uomini neri, adagiati su divani bianchi, quasi sfrontati nel gesto di fumare, mani così realistiche da confondersi con fotografie, colori perfettamente intrecciati fra di loro. E nel mio girovagare tra l'arte, mi sono imbattuta in grandi muri dipinti a sfondo unico, intervallati ogni tanto da linee e persone sedute lì a contemplarli. Al che mi sono chiesta "Che ci sarà di così artistico? Cosa avranno da ammirare?" E quando più tardi ho esposto il mio dubbio ad un mio amico, lui mi ha risposto "L'arte è arte e ognuno ci vede ciò che ci vede"
Niente di più semplice e vero.
Ed infondo è così per tutto.
Le persone, le situazioni, ognuno ci vede ciò che ci vede. E non puoi spiegare il perché. Ma sai che tu provi una certa sensazione e un'altra persona no. Tu senti vibrare qualcosa, un altro guarda indifferente ciò che ti emoziona e passa avanti quasi annoiato.
Quante volte ti sei sentito dire mentre il cuore ti si struggeva quasi dal dolore "Non capisco come fai a stare così. Se fossi io al tuo posto..." seguito da tutte le cose giuste da fare. Ma tu le sai già tutte quelle cose, eppure il cuore non smette di fare male. Quante volte la rabbia ha steso un velo rosso sui tuoi occhi, facendoti schizzare dalla bocca parole sconnesse, ed hai ritrovato a fissarti occhi calmi, a volte stupiti, altre quasi shockati dalla tua reazione. Quante volte, ti sei ritrovato commosso, come se la tenerezza, quella sensazione di tepore, non potesse essere contenuta più e ti traboccasse dagli occhi, e chi era accanto a te, quasi ti derideva.
E quante volte sei stato tu dall'altra parte. Ti sei ritrovato davanti ai sentimenti di una persona, che fossero rabbia, furia cieca, dolore, euforia e ti sei ritrovato a mostrarle una freddezza che quasi ti faceva vergognare, perchè non riuscivi ad afferrare l'intensità di quel momento personale. E dal canto tuo ritornava solo un'eco fredda.
E non puoi tacciare nessuno di insensibilità o debolezza, perchè le sensazioni sono sensazioni ed ognuno sente ciò che sente.

domenica 23 febbraio 2014

Indecisione



È come camminare, su una fune, senza telone di sicurezza.
In bilico.
Sotto di te nuvole, e sotto non lo sai ma vorresti saperlo.
Nonostante tutto, fa davvero paura visto da lassù.
Allora vai avanti con prudenza, ma continui a oscillare come un pendolo. Una volta di là, una di qua. Ogni volta sembra quasi come se stessi per cadere. Eppure non succede mai. La paura di precipitare accompagna ogni tuo passo e vorresti che accadesse, per porre fine a quella tensione.
Ma non succederà, perchè l'indecisione è la calamita che ti tiene attaccata a quella corda. Non ti lascia andare. 
Quindi continui a procedere, con cautela . E di tanto in tanto scruti là sotto.
Sotto di te nuvole, e sotto non lo saprai mai.

venerdì 14 febbraio 2014

La storia del mio San Valentino



La giornata si prospetta delle migliori, bel tempo, sono le 3 p.m. ed ho appena finito di lavorare. Domani sarò libera tutta la giornata. Ed è così che, cuffie alle orecchie e passo baldanzoso, mi avvio verso quello che mi attende, l'inaspettato.
Alcuni doveri mi impongono di passare prima da un amico, dove tra chiacchiere e tè alla menta (un bizzarro incrocio di caldo e fresco) trascorro un po' di tempo. Poi decido di andare, saluto e vado via.
L'inaspettato mi aspetta.
E faccio il primo passo verso quello che verrà.
Pioggia.
Nel momento esatto in cui ho compiuto il primo passo, la pioggia è cominciata a scendere. "Londra" ho pensato "Un'attimo prima c'è il sole, un attimo dopo piove. Non mi sorprende più"
Al secondo passo comincia a piovere a dirotto. E col cuore pesante, mi ricordo che la fermata dell'autobus è ben lontana. E quindi invece del famoso "I'm singinin' in the rain" parte la versione alternativa "I'm walkinin' in the rain" dove invece di ballare e cantare felice sotto la pioggia, marcio a ritmo di musica e impreco mentalmente". La fermata diventa molto più lontana di quanto mi ricordassi.
Ma finalmente, la fortuna mi sorride, e con me alla fermata, arriva anche il bus.
Non avevo capito che non era un sorriso, era una risata, la fortuna si faceva beffe di me.
Sul bus, mi godo il momento di tepore, metto su musica soft, la pioggia sembra scemare. "Londra" ho pensato "Un'attimo prima piove a dirotto, un attimo dopo è tutto finito". E lì, ho compiuto lo sbaglio peggiore, ho abbassato la guardia, e mi sono distratta.
Quando, tempo dopo, ho riguardato fuori, c'era parecchia acqua. E a quanto pareva, la mia fermata era la prossima.
Scendo dal bus.
Il diluvio universale. Ma non importa, è l'ultimo sforzo sono quasi a casa.
Ed eccolo, l'inaspettato.
Afferro il portachiavi e lo tiro fuori dalla borsa. Delle tre chiavi che di solito vi sono attaccate, ne rimane una sola... quella della mia camera.
L'angoscia.
Finalmente entro nel piccolo viale di casa mia, almeno mi sarei riparata dalla pioggia. Ma smette repentinamente di piovere.Mi sento presa in giro. Con crescente irritazione suono al campanello, niente. Tutti sono a lavoro.
L'unica persona che mi può aiutare, è un mio coinquilino che ha il cellulare spento. E lì triste e sconsolata, ho cominciato a confidare in un miracolo, il miracolo di San Valentino.
E quel miracolo è avvenuto.
Mentre siedo, rannicchiata nel buio, afflitta, una voce mi chiama "Ilaria, dove sei?"
Valentino.
Il mio coinquilino.
Colui che non doveva tornare a casa, eppure aveva cambiato idea.
"Valentino, che tu sia fatto Santo"
Ed è così che è stato il mio San Valentino.

Tratto da "Storie vere di misteri e apparizioni"
I nomi, le persone e i fatti narrati, non sono di pura fantasia.

giovedì 13 febbraio 2014

Pensieri e momenti



Avevo tante cose da dire, eppure non le ricordo. In queste sere ho pensato spesso, ma ogni volta, non buttando giù le parole, le perdevo durante la notte. E non tornavano più.
Così sono i pensieri, o almeno lo sono per me. Parole, immagini, suoni che vanno a creare un'idea, per poi scomporsi dopo poco a ricrearne un'altra. Rapidi. E se non sono altrettanto veloce, li perdo.
Come i momenti. Parlo di quei momenti che fanno le occasioni. Quelle sensazioni, quelle voci, quegli sguardi, quelle luci, quei suoni, che si combinano perfettamente, nello stesso momento. O sei pronto ad acchiapparli o sono andati per sempre. E non li puoi ricreare quei momenti, perché ormai sono persi nel passato.
Un secondo fa, si, eppure è pur sempre passato.
Allora cosa succede? Non puoi riportarlo indietro, non esiste il rewind. È quindi ragionevole ritenere, che l'unica cosa da fare, sia andare avanti col copione, e lasciare che continui a svolgersi. A questo punto, possono succedere due cose.Senza forzare, lasciando che accada, la tua storia potrebbe portarti di nuovo ad un'altro fatidico momento, uno simile, ma sarà comunque diverso. Stessa persona ma situazioni diverse e conseguenze diverse. Oppure quell'incrocio di vita, o intreccio, non capiterà mai più e allora, non serve a nulla torturarsi, battersi il petto, con i pugni del se e del ma. Ci sono infiniti attimi, che possono portarti ad altre infinite situazioni. Non della stessa intensità, non dello stesso tipo, ma pur sempre infinite.

venerdì 7 febbraio 2014

Parole non dette 2. La vendetta



La cosa che più mi fa incazzare al mondo sono le parole non dette.
Ce ne sono di 2 tipi.
Quelle che lì per lì non ti vengono. Sei lì impalata a cercare la cosa giusta da dire, setacci ogni anfratto del tuo cervello, ma niente non ci sono, non le trovi! Alla tua chiamata risponde il silenzio più totale.
E poi magicamente appaiono, mentre sei sotto la doccia. Sono proprio le parole perfette, sono geniali. E nella testa parte il film, un remake della vicenda, con un nuovo copione e un finale alternativo, da cui ne esci vincitore. Gloria effimera, che ti fa sentire solo più idiota per non averci pensato prima.
Poi ci sono quelle che detesto di più, quelle che sono lì, girano e ronzano come api impazzite nella tua testa. Sono arrabbiate, sono pungenti e sanno fare male. Ma tu non le fai uscire. E vuoi sapere il perchè? Perchè non ne hai il coraggio. Quando stai per aprire la bocca, ti censuri, per non ferire, per non sembrare troppo cattiva, per non essere troppo cattiva, per non essere maleducata, per non essere piena di te.
Mai perchè non vuoi.
E a che pro poi? Per tornare a casa con quello sciame incattivito intrappolato in testa, il ronzio diventato un frastuono assordante che copra il rumore di tutti gli altri pensieri e ti tormenta, perchè per l'ennesima volta ne sei uscita sopraffatta. Perchè alla fine ti rendi conto che è di quello che si tratta, un'eterno cercare di affermare la propria superiorità.
E allora no.
Preferisco dirle quelle parole, non per dimostrare che sono migliore, infondo sono per "la pace nel mondo" e "ognuno è speciale a modo suo", quanto piuttosto per preservare la mia sanità mentale.

mercoledì 5 febbraio 2014

Pezzi




Un mio amico oggi mi ha detto "Credo che questo rapporto con Mara mi abbia snaturato. Se torno me, non lo permetterò più."


Conosco quella sensazione, snaturato rende bene l'idea, è come perdere la propria identità.
L'aver condiviso così tanto e così profondamente la tua vita con qualcuno, ti toglie la tua unicità.
Quando ne esci, ti senti la versione meno netta di te stesso, una sorta di ricordo non nitido. All'esterno per gli altri nulla è cambiato, sei sempre il solito, ma tu, dentro di te, lo avverti che in quegli anni la tua persona è stata mischiata con un'altra e quando finisce, è uno strappo. E gli strappi non sono mai nitidi, lasciano sempre spuntoni qua e là, pezzi persi.
Ecco perché si dice "ne sono uscito a pezzi". È molto più complesso di quanto sembri, non riguarda il dolore, significa ne sono uscita rotta, i pezzi sparsi in giro, e non sai se sono tutti lì o ne manca qualcuno, se sono tutti tuoi oppure no, se puoi ricomporre il puzzle come era prima.
 Forse dovresti  solo rinunciare a quel puzzle e costruirne uno nuovo, con i pezzi che ti rimangono. Ma allora, saresti costretto a buttare via dei pezzi, e a cosa rinunci? A quale parte di te stesso rinunci? Ma forse è solo la paranoia che ha preso il sopravvento, la cara, vecchia  paranoia.
In realtà se sei bravo abbastanza, riesci a costruire un nuovo puzzle e lo fai senza rinunciare a nessun pezzo.
Anzi, potrebbe capitare che non ti vada poi così male. Potrebbe essere persino migliore dell'originale. 

Se sei bravo abbastanza.

martedì 4 febbraio 2014

La ragazza che voleva presentare



C'era una volta una ragazza che all'apparenza sembrava una persona qualunque, una ragazza normale, una ragazza tranquilla e anonima, ma in realtà lei aveva un dono. Quella ragazza credeva con tutta sè stessa in qualcosa. Aveva un sogno. Quella ragazza voleva fare la presentatrice.
Sapeva che il suo era un dono naturale, innato, poichè ogni volta che si trovava fra i suoi amici, soprattutto quando c'erano persone nuove, le veniva spontaneo usare le sue doti.
 Così un giorno stanca di reprimere i suoi desideri, affrontò la madre che prospettava per lei una vita da laureata disoccupata e le disse "Mamma, io voglio fare la presentatrice" la madre stupita le rispose "La presentatrice, ma cosa significa? Cosa stai blaterando?" La ragazza per una volta fece appello a tutto il suo coraggio, all'ardore che le bruciava in petto e le disse alzando la voce, forse per la prima volta in vita sua "Io voglio presentare! Io voglio presentare!" La madre comiciò a ridere "Ma cosa pensi di fare? Ti sei guardata? Tu non ne hai le capacità" e allora la figlia si ritrovò a vivere la scena che tante volte aveva rivissuto nella sua mente, finalmente le avrebbe dimostrato di che pasta era fatta, perchè lei sapeva di essere capace "Io te lo dimostrerò" La ragazza abbassò lo sguardo, sembrava in trans, era come se dal suo corpo provenisse una nuova luce, e quando alzò finalmente il viso, gli occhi che la madre vide, non furono quelli di una timida e impacciata ragazzina, ma quelli di una donna decisa. Si apprestò ad udire il monologo della figlia, la mente aperta e tesa ad ascoltare e finalmente la donna parlò "Mamma, questo è Andrea" un ragazzo entrò all'improvviso in cucina sorridendo e tendendo la mano alla madre, la madre stupita, un po' confusa allungò automaticamente la propria e strinse quella mano che le veniva offerta "Andrea, questa è mia mamma" Il ragazzo, sorrise alla madre e poi cominciò ad applaudire la ragazza. Il volto della madre si accartocciò in una smorfia di irritazione e con voce stridula, sentendosi burlata dalla propria figlia le disse "Cosa diamine significa questa messa in scena? Sei impazzita o cosa?" "Mamma non capisci, ti ho mostrato il mio dono" calò un silenzio carico di attesa fra le due "Mamma, te l'ho detto, io voglio fare la presentatrice." Il silenzio e la tensione erano quasi palpabili, materiali, quando finalmente quella ragazza oramai donna disse "Io, voglio presentare la gente"

Tratto da "La ragazza che presentava la gente" ispirato al film, ispirato ad una storia vera "L'uomo che usciva la gente"

lunedì 3 febbraio 2014

Noi siamo quello che facciamo




Girovagando senza alcun senso su feisbuc, così come faccio di solito, in preda ad una specie di trans da vuoto, ho letto queste parole: noi siamo quello che facciamo.
Questa frase mi ha colpita all'istante e mi ha anche spaventata. Perchè se noi siamo quello che facciamo, e di cose sbagliate ne ho fatte nella mia vita, allora io faccio schifo.
Sapete, è come avvenuto un cambiamento dentro di me, è come se una sorta di insensibilità si fosse diffusa nel mio corpo, facendomi comportare come in passato non avrei mai fatto. È arrivata fino agli occhi, facendomi vedere le cose in maniera diversa.
Ho perso l'empatia. Ed il giusto e sbagliato sono diventati meno netti, meno forti.
Eppure non del tutto.
Altrimenti non sarei qui a pensare queste cose.
Ma d'altronde se siamo quello che facciamo, allora abbiamo diritto anche ad una sorta di redenzione, perchè se siamo ciò che facciamo, possiamo fare di meglio e diventare migliori.
Potrebbe avere un senso, come pure potrebbero essere solo un mucchio di pensieri che vagano alla deriva di un lunedì pomeriggio.
Quei pomeriggi che sembrano quasi primaverili quando li guardi dalla finestra di camera tua, ma poi quando esci, scopri che la realtà è fredda.
E quindi, nonostante tutto, se siamo quello che facciamo, e noi tutti abbiamo  una cosa in comuna, si sa, facciamo la cacca, non importa quanto ci impegneremo, resteremo comunque tutti delle merde.

venerdì 31 gennaio 2014

Una storia vera con un dubbio vero



Sei solo in casa, fuori piove, il vento è così forte da piegare i rami. Ti avvicini ai fornelli per cucinare qualcosa, quando...
Un rumore nella cappa.
Ma non è nulla, fuori il temporale è forte.
Poi una musichetta caraibica comincia a provenire dal tuo muro.
Bam!
Un frastuono improvviso.
È come se il vento avesse mollato un cazzotto per entrare, riesci addirittura a sentire il rumore del temporale da quella cappa.
La musica diventa più nitida mano a mano che ti avvicini.
Ne sei sicuro, la musica fuoriesce dal muro.
E lì davanti a quel muro, lo sguardo incatenato come se fossi sotto incantesimo, rimani intrappolato nell'amletico dubbio.
È la porta per un'altra dimensione o è solo lo stereo del vicino?

Tratto da "Una storia vera con un dubbio vero"

venerdì 24 gennaio 2014

Consensi




È da molto che non scrivo. In realtà, sono state parecchie le volte in cui ho desiderato condividere i miei pensieri. Ma poi non l'ho mai fatto.
Perchè?
Per la mancanza di consensi.
Il fatto è che mi sembrava di scrivere per uno schermo e basta. Come parlare in un luogo affollato ed essere ignorata.
Mi sembrava inutile. Come parlare al vento. Parole portate.
È che le persone come me, sono portate a ricercare perennemente il consenso.
Una pacca sulla spalla, un "Prendilo, ti sta bene", un "Stai facendo la cosa giusta". E ne sei così dipendente che a volte, pur di mantenere quel consenso, fai la cosa sbagliata. Nonostante in cuor tuo lo sappia.
Il consenso a tutti i costi.
Ma diciamoci la verità. Solo le persone deboli hanno bisogno di consensi. Solo chi non è sicuro di ciò che sta facendo. Chi non crede in sé stesso. E infine, chi sa che sta facendo la cosa sbagliata, ma non ha la forza di cambiare, allora cerca il consenso, per potersi poi giustuficare, per trovare conforto, per alleviare il senso di colpa
E allora per una volta non cerco il consenso di nessuno.
E nonostante nessuno mi stia leggendo continuerò a scrivere.
Non si sa mai che un giorno queste parole arrivino a qualcuno, trasportate dal vento che se le sta portando  e quel qualcuno le senta davvero
.
Potrebbe non accadere mai.
O forse si.