martedì 25 febbraio 2014

Arte e sensazioni



Tempo fa, sono andata ad un museo qui a Londra e mi sono ritrovata a girovagare affascinata tra dipinti mai visti prima ed altri che avevo visto solo in foto. Ritratti di donne nude, così come viste da Picasso, viaggi mentali di Dalì, classiche pose da odalische interpretate da uomini neri, adagiati su divani bianchi, quasi sfrontati nel gesto di fumare, mani così realistiche da confondersi con fotografie, colori perfettamente intrecciati fra di loro. E nel mio girovagare tra l'arte, mi sono imbattuta in grandi muri dipinti a sfondo unico, intervallati ogni tanto da linee e persone sedute lì a contemplarli. Al che mi sono chiesta "Che ci sarà di così artistico? Cosa avranno da ammirare?" E quando più tardi ho esposto il mio dubbio ad un mio amico, lui mi ha risposto "L'arte è arte e ognuno ci vede ciò che ci vede"
Niente di più semplice e vero.
Ed infondo è così per tutto.
Le persone, le situazioni, ognuno ci vede ciò che ci vede. E non puoi spiegare il perché. Ma sai che tu provi una certa sensazione e un'altra persona no. Tu senti vibrare qualcosa, un altro guarda indifferente ciò che ti emoziona e passa avanti quasi annoiato.
Quante volte ti sei sentito dire mentre il cuore ti si struggeva quasi dal dolore "Non capisco come fai a stare così. Se fossi io al tuo posto..." seguito da tutte le cose giuste da fare. Ma tu le sai già tutte quelle cose, eppure il cuore non smette di fare male. Quante volte la rabbia ha steso un velo rosso sui tuoi occhi, facendoti schizzare dalla bocca parole sconnesse, ed hai ritrovato a fissarti occhi calmi, a volte stupiti, altre quasi shockati dalla tua reazione. Quante volte, ti sei ritrovato commosso, come se la tenerezza, quella sensazione di tepore, non potesse essere contenuta più e ti traboccasse dagli occhi, e chi era accanto a te, quasi ti derideva.
E quante volte sei stato tu dall'altra parte. Ti sei ritrovato davanti ai sentimenti di una persona, che fossero rabbia, furia cieca, dolore, euforia e ti sei ritrovato a mostrarle una freddezza che quasi ti faceva vergognare, perchè non riuscivi ad afferrare l'intensità di quel momento personale. E dal canto tuo ritornava solo un'eco fredda.
E non puoi tacciare nessuno di insensibilità o debolezza, perchè le sensazioni sono sensazioni ed ognuno sente ciò che sente.

domenica 23 febbraio 2014

Indecisione



È come camminare, su una fune, senza telone di sicurezza.
In bilico.
Sotto di te nuvole, e sotto non lo sai ma vorresti saperlo.
Nonostante tutto, fa davvero paura visto da lassù.
Allora vai avanti con prudenza, ma continui a oscillare come un pendolo. Una volta di là, una di qua. Ogni volta sembra quasi come se stessi per cadere. Eppure non succede mai. La paura di precipitare accompagna ogni tuo passo e vorresti che accadesse, per porre fine a quella tensione.
Ma non succederà, perchè l'indecisione è la calamita che ti tiene attaccata a quella corda. Non ti lascia andare. 
Quindi continui a procedere, con cautela . E di tanto in tanto scruti là sotto.
Sotto di te nuvole, e sotto non lo saprai mai.

venerdì 14 febbraio 2014

La storia del mio San Valentino



La giornata si prospetta delle migliori, bel tempo, sono le 3 p.m. ed ho appena finito di lavorare. Domani sarò libera tutta la giornata. Ed è così che, cuffie alle orecchie e passo baldanzoso, mi avvio verso quello che mi attende, l'inaspettato.
Alcuni doveri mi impongono di passare prima da un amico, dove tra chiacchiere e tè alla menta (un bizzarro incrocio di caldo e fresco) trascorro un po' di tempo. Poi decido di andare, saluto e vado via.
L'inaspettato mi aspetta.
E faccio il primo passo verso quello che verrà.
Pioggia.
Nel momento esatto in cui ho compiuto il primo passo, la pioggia è cominciata a scendere. "Londra" ho pensato "Un'attimo prima c'è il sole, un attimo dopo piove. Non mi sorprende più"
Al secondo passo comincia a piovere a dirotto. E col cuore pesante, mi ricordo che la fermata dell'autobus è ben lontana. E quindi invece del famoso "I'm singinin' in the rain" parte la versione alternativa "I'm walkinin' in the rain" dove invece di ballare e cantare felice sotto la pioggia, marcio a ritmo di musica e impreco mentalmente". La fermata diventa molto più lontana di quanto mi ricordassi.
Ma finalmente, la fortuna mi sorride, e con me alla fermata, arriva anche il bus.
Non avevo capito che non era un sorriso, era una risata, la fortuna si faceva beffe di me.
Sul bus, mi godo il momento di tepore, metto su musica soft, la pioggia sembra scemare. "Londra" ho pensato "Un'attimo prima piove a dirotto, un attimo dopo è tutto finito". E lì, ho compiuto lo sbaglio peggiore, ho abbassato la guardia, e mi sono distratta.
Quando, tempo dopo, ho riguardato fuori, c'era parecchia acqua. E a quanto pareva, la mia fermata era la prossima.
Scendo dal bus.
Il diluvio universale. Ma non importa, è l'ultimo sforzo sono quasi a casa.
Ed eccolo, l'inaspettato.
Afferro il portachiavi e lo tiro fuori dalla borsa. Delle tre chiavi che di solito vi sono attaccate, ne rimane una sola... quella della mia camera.
L'angoscia.
Finalmente entro nel piccolo viale di casa mia, almeno mi sarei riparata dalla pioggia. Ma smette repentinamente di piovere.Mi sento presa in giro. Con crescente irritazione suono al campanello, niente. Tutti sono a lavoro.
L'unica persona che mi può aiutare, è un mio coinquilino che ha il cellulare spento. E lì triste e sconsolata, ho cominciato a confidare in un miracolo, il miracolo di San Valentino.
E quel miracolo è avvenuto.
Mentre siedo, rannicchiata nel buio, afflitta, una voce mi chiama "Ilaria, dove sei?"
Valentino.
Il mio coinquilino.
Colui che non doveva tornare a casa, eppure aveva cambiato idea.
"Valentino, che tu sia fatto Santo"
Ed è così che è stato il mio San Valentino.

Tratto da "Storie vere di misteri e apparizioni"
I nomi, le persone e i fatti narrati, non sono di pura fantasia.

giovedì 13 febbraio 2014

Pensieri e momenti



Avevo tante cose da dire, eppure non le ricordo. In queste sere ho pensato spesso, ma ogni volta, non buttando giù le parole, le perdevo durante la notte. E non tornavano più.
Così sono i pensieri, o almeno lo sono per me. Parole, immagini, suoni che vanno a creare un'idea, per poi scomporsi dopo poco a ricrearne un'altra. Rapidi. E se non sono altrettanto veloce, li perdo.
Come i momenti. Parlo di quei momenti che fanno le occasioni. Quelle sensazioni, quelle voci, quegli sguardi, quelle luci, quei suoni, che si combinano perfettamente, nello stesso momento. O sei pronto ad acchiapparli o sono andati per sempre. E non li puoi ricreare quei momenti, perché ormai sono persi nel passato.
Un secondo fa, si, eppure è pur sempre passato.
Allora cosa succede? Non puoi riportarlo indietro, non esiste il rewind. È quindi ragionevole ritenere, che l'unica cosa da fare, sia andare avanti col copione, e lasciare che continui a svolgersi. A questo punto, possono succedere due cose.Senza forzare, lasciando che accada, la tua storia potrebbe portarti di nuovo ad un'altro fatidico momento, uno simile, ma sarà comunque diverso. Stessa persona ma situazioni diverse e conseguenze diverse. Oppure quell'incrocio di vita, o intreccio, non capiterà mai più e allora, non serve a nulla torturarsi, battersi il petto, con i pugni del se e del ma. Ci sono infiniti attimi, che possono portarti ad altre infinite situazioni. Non della stessa intensità, non dello stesso tipo, ma pur sempre infinite.

venerdì 7 febbraio 2014

Parole non dette 2. La vendetta



La cosa che più mi fa incazzare al mondo sono le parole non dette.
Ce ne sono di 2 tipi.
Quelle che lì per lì non ti vengono. Sei lì impalata a cercare la cosa giusta da dire, setacci ogni anfratto del tuo cervello, ma niente non ci sono, non le trovi! Alla tua chiamata risponde il silenzio più totale.
E poi magicamente appaiono, mentre sei sotto la doccia. Sono proprio le parole perfette, sono geniali. E nella testa parte il film, un remake della vicenda, con un nuovo copione e un finale alternativo, da cui ne esci vincitore. Gloria effimera, che ti fa sentire solo più idiota per non averci pensato prima.
Poi ci sono quelle che detesto di più, quelle che sono lì, girano e ronzano come api impazzite nella tua testa. Sono arrabbiate, sono pungenti e sanno fare male. Ma tu non le fai uscire. E vuoi sapere il perchè? Perchè non ne hai il coraggio. Quando stai per aprire la bocca, ti censuri, per non ferire, per non sembrare troppo cattiva, per non essere troppo cattiva, per non essere maleducata, per non essere piena di te.
Mai perchè non vuoi.
E a che pro poi? Per tornare a casa con quello sciame incattivito intrappolato in testa, il ronzio diventato un frastuono assordante che copra il rumore di tutti gli altri pensieri e ti tormenta, perchè per l'ennesima volta ne sei uscita sopraffatta. Perchè alla fine ti rendi conto che è di quello che si tratta, un'eterno cercare di affermare la propria superiorità.
E allora no.
Preferisco dirle quelle parole, non per dimostrare che sono migliore, infondo sono per "la pace nel mondo" e "ognuno è speciale a modo suo", quanto piuttosto per preservare la mia sanità mentale.

mercoledì 5 febbraio 2014

Pezzi




Un mio amico oggi mi ha detto "Credo che questo rapporto con Mara mi abbia snaturato. Se torno me, non lo permetterò più."


Conosco quella sensazione, snaturato rende bene l'idea, è come perdere la propria identità.
L'aver condiviso così tanto e così profondamente la tua vita con qualcuno, ti toglie la tua unicità.
Quando ne esci, ti senti la versione meno netta di te stesso, una sorta di ricordo non nitido. All'esterno per gli altri nulla è cambiato, sei sempre il solito, ma tu, dentro di te, lo avverti che in quegli anni la tua persona è stata mischiata con un'altra e quando finisce, è uno strappo. E gli strappi non sono mai nitidi, lasciano sempre spuntoni qua e là, pezzi persi.
Ecco perché si dice "ne sono uscito a pezzi". È molto più complesso di quanto sembri, non riguarda il dolore, significa ne sono uscita rotta, i pezzi sparsi in giro, e non sai se sono tutti lì o ne manca qualcuno, se sono tutti tuoi oppure no, se puoi ricomporre il puzzle come era prima.
 Forse dovresti  solo rinunciare a quel puzzle e costruirne uno nuovo, con i pezzi che ti rimangono. Ma allora, saresti costretto a buttare via dei pezzi, e a cosa rinunci? A quale parte di te stesso rinunci? Ma forse è solo la paranoia che ha preso il sopravvento, la cara, vecchia  paranoia.
In realtà se sei bravo abbastanza, riesci a costruire un nuovo puzzle e lo fai senza rinunciare a nessun pezzo.
Anzi, potrebbe capitare che non ti vada poi così male. Potrebbe essere persino migliore dell'originale. 

Se sei bravo abbastanza.

martedì 4 febbraio 2014

La ragazza che voleva presentare



C'era una volta una ragazza che all'apparenza sembrava una persona qualunque, una ragazza normale, una ragazza tranquilla e anonima, ma in realtà lei aveva un dono. Quella ragazza credeva con tutta sè stessa in qualcosa. Aveva un sogno. Quella ragazza voleva fare la presentatrice.
Sapeva che il suo era un dono naturale, innato, poichè ogni volta che si trovava fra i suoi amici, soprattutto quando c'erano persone nuove, le veniva spontaneo usare le sue doti.
 Così un giorno stanca di reprimere i suoi desideri, affrontò la madre che prospettava per lei una vita da laureata disoccupata e le disse "Mamma, io voglio fare la presentatrice" la madre stupita le rispose "La presentatrice, ma cosa significa? Cosa stai blaterando?" La ragazza per una volta fece appello a tutto il suo coraggio, all'ardore che le bruciava in petto e le disse alzando la voce, forse per la prima volta in vita sua "Io voglio presentare! Io voglio presentare!" La madre comiciò a ridere "Ma cosa pensi di fare? Ti sei guardata? Tu non ne hai le capacità" e allora la figlia si ritrovò a vivere la scena che tante volte aveva rivissuto nella sua mente, finalmente le avrebbe dimostrato di che pasta era fatta, perchè lei sapeva di essere capace "Io te lo dimostrerò" La ragazza abbassò lo sguardo, sembrava in trans, era come se dal suo corpo provenisse una nuova luce, e quando alzò finalmente il viso, gli occhi che la madre vide, non furono quelli di una timida e impacciata ragazzina, ma quelli di una donna decisa. Si apprestò ad udire il monologo della figlia, la mente aperta e tesa ad ascoltare e finalmente la donna parlò "Mamma, questo è Andrea" un ragazzo entrò all'improvviso in cucina sorridendo e tendendo la mano alla madre, la madre stupita, un po' confusa allungò automaticamente la propria e strinse quella mano che le veniva offerta "Andrea, questa è mia mamma" Il ragazzo, sorrise alla madre e poi cominciò ad applaudire la ragazza. Il volto della madre si accartocciò in una smorfia di irritazione e con voce stridula, sentendosi burlata dalla propria figlia le disse "Cosa diamine significa questa messa in scena? Sei impazzita o cosa?" "Mamma non capisci, ti ho mostrato il mio dono" calò un silenzio carico di attesa fra le due "Mamma, te l'ho detto, io voglio fare la presentatrice." Il silenzio e la tensione erano quasi palpabili, materiali, quando finalmente quella ragazza oramai donna disse "Io, voglio presentare la gente"

Tratto da "La ragazza che presentava la gente" ispirato al film, ispirato ad una storia vera "L'uomo che usciva la gente"

lunedì 3 febbraio 2014

Noi siamo quello che facciamo




Girovagando senza alcun senso su feisbuc, così come faccio di solito, in preda ad una specie di trans da vuoto, ho letto queste parole: noi siamo quello che facciamo.
Questa frase mi ha colpita all'istante e mi ha anche spaventata. Perchè se noi siamo quello che facciamo, e di cose sbagliate ne ho fatte nella mia vita, allora io faccio schifo.
Sapete, è come avvenuto un cambiamento dentro di me, è come se una sorta di insensibilità si fosse diffusa nel mio corpo, facendomi comportare come in passato non avrei mai fatto. È arrivata fino agli occhi, facendomi vedere le cose in maniera diversa.
Ho perso l'empatia. Ed il giusto e sbagliato sono diventati meno netti, meno forti.
Eppure non del tutto.
Altrimenti non sarei qui a pensare queste cose.
Ma d'altronde se siamo quello che facciamo, allora abbiamo diritto anche ad una sorta di redenzione, perchè se siamo ciò che facciamo, possiamo fare di meglio e diventare migliori.
Potrebbe avere un senso, come pure potrebbero essere solo un mucchio di pensieri che vagano alla deriva di un lunedì pomeriggio.
Quei pomeriggi che sembrano quasi primaverili quando li guardi dalla finestra di camera tua, ma poi quando esci, scopri che la realtà è fredda.
E quindi, nonostante tutto, se siamo quello che facciamo, e noi tutti abbiamo  una cosa in comuna, si sa, facciamo la cacca, non importa quanto ci impegneremo, resteremo comunque tutti delle merde.