lunedì 15 settembre 2014

Grigio a colori


Mi guardo e ciò che vedo è un fallimento.
Mi guardano e ciò che vedono è diametralmente opposto. Come in una casa degli specchi che ti rimanda un'immagine distorta.
Sono 26 anni che mi ripetono "Sei geniale, brillante, intelligente" e chi più ne ha più ne metta.
Allora mi domando e dico, perché se sono così brillante, intorno a me c'è solo buio?
Perché non vedo la mia strada?
Perché non vedo la realtà che mi circonda.
Perché l'inerzia mi culla e il nulla mi avvolge.
Nebbia, in cui il tempo mollemente scorre.
Inutilmente, infruttuosamente.
Mi vedo in un punto preciso sul piano spazio temporale, coordinate che non voglio avere, una posizione che non mi piace eppure essendo ferma posso vedere solo quel fotogramma. Un fotogramma che mi ha immortalato in un'espressione ridicola.
Dovrei essere pratica, lo so, concreta. Dovrei forse decidermi a lavorare in una banca. 
Appiattarmi.
Ma io amo le parole, quell'intrico complesso di lettere che vengono fuori così semplicemente. 
Ma le parole non sono tangibili e nella vita, mi hanno detto, non si vive di passione, ma di razionalità.
Che paradosso, ho sempre pensato che essere passionali significasse essere vivi, ed ho invece imparato a malincuore che essere passionali, ti ammazza piano piano.
Ogni volta che la realtà delude le mie aspettative, una parte di me appassisce e si appiattisce. Ogni volta che un sogno muore, una parte di me si spegne.
A 26 anni ho realizzato che essere a colori, è una debolezza, se vuoi sopravvivere, è meglio essere grigi e accontentarsi di quello che c'è.
C'è un solo problema.
Io non posso perdere colore, anche se cercassi di lavarlo via, non ne sarei capace.
Allora Wake up.

domenica 14 settembre 2014

Notti insonni


Le notti insonni sono calde e fredde, brividi lungo le gambe e sudore dietro la nuca.
Una testa bollente e un cuore arrabbiato, di quella rabbia che ti nausea.
Sono denti stretti e mal di testa. Chiodi nelle tempie di un Frankenstein moderno.
Sono una lotta contro il buio e contro il letto. Il buio è troppo buio, la luce è troppo luminosa. Il cuscino una pietra conficcata nella testa.
Sono tutte un destra e sinistra, destra e sinistra, intervallati da un soffitto.
Sono un flusso di pensieri che non si placa e ti trascina via, come un fiume in piena. E tu sei troppo stanco per cercare di tenerti a galla, troppo stanco, eppure troppo sveglio per potervi annegare dentro.
Le notti insonni sono  fughe inutili, corse interminabili, scappi da nemici di cui non vedi il volto. Sono false speranza di salvezza, porte in cui nasconderti, ma quando le apri ti scoprono, e la speranza sfuma nella disperazione di sapere di dover continuare a correre e non sapere fino a quando.
Le notti insonni sono notti non sicure.

martedì 2 settembre 2014

Essere pigri, ti salva la vita.



Ieri notte, ero a letto con il mio ragazzo. Lui era semi-cosciente, se chiamavo il suo nome, mi rispondeva, ma era solo un pallido riflesso della sua coscienza. Era come se stringesse la mano a Morfeo, prima di abbracciarlo.
Io accanto a lui, ad occhi spalancati mi guardavo attorno, ma di Morfeo, per me, nessuna traccia.
Da fuori il rumore dell'acqua che scendeva da una grondaia, che era sempre stato lì, in quel momento era insostenibile, tagliente. Squarciava lo spazio che ci divideva per piantarsi nella mia testa come la spada di Artù, conficcata nella roccia. La tenda, annodata al centro, lasciava entrare la luce esterna. 
Pensavo che forse, se solo avessi chiuso quella finestra, e avessi tirato la tenda, sarei riuscita finalmente ad addormentarmi.
Ma, sapete, sono una persona pigra, il tepore del mio letto era troppo accogliente e restai a contemplare quella finestra, distratta, per un po', trascinata dal corso dei miei pensieri.

Mi sono vista, così come ci si vede fare qualcosa in un ricordo, scostare le coperte, scendere dal letto senza infilare le pantofole e dirigermi alla finestra. Era una di quelle finestre che si apre spingendola verso l'esterno, e come al solito era aperta di modo che fosse troppo distante, il mio braccio non riusciva a raggiungere la maniglia. Di solito appoggiavo il ginocchio sul davanzale della finestra, mi issavo su, mi aggrappavo alla maniglia e contemporaneamente scendevo dal davanzale, tirandomi appresso la finestra.
Una scena alquanto divertente da vedere, secondo il mio ragazzo.
Non dal mio punto di vista, o almeno non mentre mi arrampicavo con l'agilità di una scimmia con l'artrite.
Quella volta, anche se lui non mi stava guardando, avevo deciso di saltare direttamente, afferrare la maniglia e la forza di gravità avrebbe fatto il resto, trascinandomi sul pavimento. Si, non avevo bisogno di scalare la finestra quella volta, bastava saltare.
E così feci.
Saltai, afferrai la maniglia e la forza di gravità, svolse il suo ruolo. Cercò di attirarmi verso il suolo.
Ma dal lato sbagliato della finestra.
Andavo verso il fuori.
Tutto si svolgeva diversamente da quanto avevo progettato nella mia mente poco prima, tutto per un semplice, minuscolo dettaglio. Comportarsi come se delle eventualità non esistano, non fa si che queste scompaiano. A quanto pare ignorare le leggi della fisica, poteva essere pericoloso.
Cercai di buttare la schiena all'indietro alla ricerca di un disperato equilibro, se fossi scivolata in avanti, la finestra si sarebbe spalancata ed io mi sarei ritrovata col corpo completamente immerso nell'aria, e la probabilità che riuscissi a rimanere appesa alla maniglia erano davvero esigue. Mai ignorare la fisica, avevo appena imparato.
Daniele.
Mi ricordai di lui.
Daniele era in camera, in uno stato che oramai era comatoso, potevo affermarlo, dal semplice fatto che non si accorgeva che la sua fidanzata sporgeva dalla finestra come un panno steso ad asciugare
- Daniele!
Vidi Daniele alzarsi di scatto.
Nel buio vidi il brillio delle sue orbite spalancate.
Voltandomi avevo perso l'equilibrio e il corpo cominciò a scivolare, ancora una volta dal lato sbagliato.
Vidi Daniele lanciarsi dal letto.
Vidi il suo braccio protendersi ad afferrare la mia caviglia.
Vidi il vuoto tra le sue mani.

La finestra era ancora lì, alzai lo sguardo al soffitto, che era sempre lo stesso.
Mi riscoprii, ancora, completamente lucida, nel tepore delle coperte che mi avvolgevano.
Guardai di nuovo la finestra, ed anche quella volta, era ancora lì, aperta di modo che fosse troppo distante.

Certo che, essere pigri, ti salva la vita

lunedì 1 settembre 2014

Attese telefoniche



Odio i messaggi di attesa che ti propinano mentre attendi al  telefono. Quelli del "Siamo spiacenti ma al momento le nostre linee sono occupate. Un nostro operatore si libererà al più presto. Attenda in linea!".
Quel "al più presto" è quantificabile in un'attesa che varia dai 7 ai 15 minuti. Una volta, credo addirittura di essere riuscita a sfiorare i 20. 

Quest'attesa è catalogabile in 3 fasi:

Fase snervante: l'orecchio è letteralmente incollato al cellulare, non troverai un minimo varco tra i due, tanto da arrivare a pensare che si tratti di un unico organo. L'udito è teso, ad afferrare ogni minimo rumore che sia diverso dalla musichetta di merda che stai ascoltando già da 5 minuti, e sai che, se la ascolterai per un secondo ancora, ti farà impazzire. L'occhio che inizia a pulsare a tempo con la lancetta dell'orologio che scandisce i secondi.
Fase apocalittica: "Che le piaghe d'Egitto si abbattano su di voi!" "Che il Karma vi perseguiti fino al momento del vostro ultimo respiro" "Che ogni porta sia chiusa quando starete per cagarvi sotto!" Grida, degne dei peggiori campi di battaglia, saranno intervallate a silenzi assoluti, di controllo. Ma l'unica cosa che sentirai sarà il messaggio registrato e la musichetta di merda. "Ho deciso, spacco tutto ora". La pazzia ti sta ammaliando.
Fase rinunciataria: sei spossato oramai, la lunga attesa, gli accessi di rabbia, ti hanno indebolito lo spirito. Si allontana il telefono, si ritorna a fare ciò che si stava facendo, si lascia in vivavoce per riflesso incondizionato, pur sapendo, in cuor tuo, che nessuno risponderà mai a quella chiamata. 
E te ne dimentichi. 
"Chi stavo chiamando? E perchè?"
Cadi nell'oblio.

- Pronto!

Una voce.
Da dove viene?

- Pronto mi sente?

Alla mia destra. 
Mi volto c'è il cellulare.
Qualcuno mi ha risposto...

- Pronto..
- Salve sono Elena, codice 4rfz6, come posso aiutarla?
- Salve sono Ilaria, io non ho un codice... Io vengo da un mondo lontano... un tempo in cui gli essere umani creavano nuove vite, dando loro nomi veri. Quando le fredde macchine non si erano ancora impossessate dell'unica cosa che prova che siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio, affibbiando, a questi mezzi uomini, codici di serie."
- Mi scusi non la seguo. Posso aiutarla??
- C'è solo una cosa, a questo punto, che puoi fare per me...
- Allora?
- Dimmi... in che anno siamo?