Ieri notte, ero a letto con il mio ragazzo. Lui era semi-cosciente, se chiamavo il suo nome, mi rispondeva, ma era solo un pallido riflesso della sua coscienza. Era come se stringesse la mano a Morfeo, prima di abbracciarlo.
Io accanto a lui, ad occhi spalancati mi guardavo attorno, ma di Morfeo, per me, nessuna traccia.
Da fuori il rumore dell'acqua che scendeva da una grondaia, che era sempre stato lì, in quel momento era insostenibile, tagliente. Squarciava lo spazio che ci divideva per piantarsi nella mia testa come la spada di Artù, conficcata nella roccia. La tenda, annodata al centro, lasciava entrare la luce esterna.
Pensavo che forse, se solo avessi chiuso quella finestra, e avessi tirato la tenda, sarei riuscita finalmente ad addormentarmi.
Ma, sapete, sono una persona pigra, il tepore del mio letto era troppo accogliente e restai a contemplare quella finestra, distratta, per un po', trascinata dal corso dei miei pensieri.
Mi sono vista, così come ci si vede fare qualcosa in un ricordo, scostare le coperte, scendere dal letto senza infilare le pantofole e dirigermi alla finestra. Era una di quelle finestre che si apre spingendola verso l'esterno, e come al solito era aperta di modo che fosse troppo distante, il mio braccio non riusciva a raggiungere la maniglia. Di solito appoggiavo il ginocchio sul davanzale della finestra, mi issavo su, mi aggrappavo alla maniglia e contemporaneamente scendevo dal davanzale, tirandomi appresso la finestra.
Una scena alquanto divertente da vedere, secondo il mio ragazzo.
Non dal mio punto di vista, o almeno non mentre mi arrampicavo con l'agilità di una scimmia con l'artrite.
Quella volta, anche se lui non mi stava guardando, avevo deciso di saltare direttamente, afferrare la maniglia e la forza di gravità avrebbe fatto il resto, trascinandomi sul pavimento. Si, non avevo bisogno di scalare la finestra quella volta, bastava saltare.
E così feci.
Saltai, afferrai la maniglia e la forza di gravità, svolse il suo ruolo. Cercò di attirarmi verso il suolo.
Ma dal lato sbagliato della finestra.
Andavo verso il fuori.
Tutto si svolgeva diversamente da quanto avevo progettato nella mia mente poco prima, tutto per un semplice, minuscolo dettaglio. Comportarsi come se delle eventualità non esistano, non fa si che queste scompaiano. A quanto pare ignorare le leggi della fisica, poteva essere pericoloso.
Cercai di buttare la schiena all'indietro alla ricerca di un disperato equilibro, se fossi scivolata in avanti, la finestra si sarebbe spalancata ed io mi sarei ritrovata col corpo completamente immerso nell'aria, e la probabilità che riuscissi a rimanere appesa alla maniglia erano davvero esigue. Mai ignorare la fisica, avevo appena imparato.
Daniele.
Mi ricordai di lui.
Daniele era in camera, in uno stato che oramai era comatoso, potevo affermarlo, dal semplice fatto che non si accorgeva che la sua fidanzata sporgeva dalla finestra come un panno steso ad asciugare
- Daniele!
Vidi Daniele alzarsi di scatto.
Nel buio vidi il brillio delle sue orbite spalancate.
Voltandomi avevo perso l'equilibrio e il corpo cominciò a scivolare, ancora una volta dal lato sbagliato.
Vidi Daniele lanciarsi dal letto.
Vidi il suo braccio protendersi ad afferrare la mia caviglia.
Vidi il vuoto tra le sue mani.
La finestra era ancora lì, alzai lo sguardo al soffitto, che era sempre lo stesso.
Mi riscoprii, ancora, completamente lucida, nel tepore delle coperte che mi avvolgevano.
Guardai di nuovo la finestra, ed anche quella volta, era ancora lì, aperta di modo che fosse troppo distante.
Certo che, essere pigri, ti salva la vita